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Birmania Rewind. Il Golpe militare riavvolge il nastro

Il momento in cui tutto cambiò e la Birmania smise di sentirsi democratica, tornando al passato. Questa volta sarà diverso?

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Myawaddy, un canale televisivo in possesso dell’esercito birmano, è così brutto da essere inguardabile. Ma quando i residenti di Naypydaw, la capitale del Myanmar, e Yangon, la sua città più grande, si svegliarono il primo febbraio trovarono soldati per strada e una musica marziale nelle loro radio e la tetra tv Myawaddy divenne l’emittente più vista.

Fu un annunciatore della TV Myawaddy a dare l’annuncio che il paese era in uno Stato di Emergenza e sotto il controllo di Min Aung Hlaing, il capo dell’esercito.

Il soldati erano stazionati negli uffici governativi. Gli aeroporti erano chiusi e, nelle città, la connessione internet era sospesa. Centinaia di politici della Lega Nazionale per la Democrazia (NLD) che avevano conquistato una netta maggioranza in Parlamento alle ultime elezioni di novembre erano stati messi agli arresti domiciliari. Le forze armate avevano radunato anche tutti i capi dei ministeri dei 14 stati di cui è composto il Myanmar.

Oltre ai politici le retate hanno interessato attivisti pro democrazia, scrittori, tre monaci e un regista, Min Htin Ko Ko Gyi. Aung San Suu Kyi, che è diventata una figura di globale rinnovamento quando ha guidato NLD dai suoi arresti domiciliari durante due decenni degli anni Novanta e Duemila, e che come “consigliere di Stato” è stato un indiscusso leader civile, ora era tornata sotto chiave.

Icona Globale, Aung San Suu Kyi
BIRMANIA REWIND

L’esercito, conosciuto come Tatmadaw, è abituato a essere in carica. Quando fu creato nel 19esimo secolo, la Birmania inglese (British Burma) aveva ammassato insieme 100 differenti gruppi etnici. Dopo l’indipendenza del 1948 molti di questi gruppi prontamente si ribellarono contro il nuovo governo.

L’esercito, dominato al tempo da ufficiali dell’etnia maggioritaria Bamar, ha iniziato una soppressione di tale separatismo che va avanti da allora.

Dopo aver rovesciato un governo democraticamente eletto nel 1962 è stato al governo quasi continuamente per cinquant’anni, giustificando il suo ruolo sulla base di essere l’unica istituzione capace di tenere insieme il paese.

Nel 1988 ha polverizzato selvaggiamente una rivolta democratica. Nel 2011, tuttavia, il Tatmadaw impressionò il mondo dando vita a un governo civile.

due ragioni alla base

La prima era la preoccupazione dell’economia. Decenni di isolamento diplomatico dall’Occidente avevano spinto il Myanmar nell’orbita cinese, una situazione che creava disagio ai generali. Era imbarazzante che la Birmania nel 1962 era uno dei paesi più ricchi dell’Asia e cinquant’anni dopo era uno dei più poveri. Anche le feroci e spigolose menti militari capivano che la direzione era da cambiare. La risposta al ciclone Nargis del 2008 che ha ucciso 140 mila persone, poi, è stata disastrosa minando ancor di più la pessima reputazione della Giunta.

La seconda ragione era l’opportunità di ripulirsi con un governo civile senza lasciare completamente lo scettro del potere. I militari hanno disegnato un sistema politico ibrido dove il pugno di ferro rimane piantato sulla scrivania. Le nomine del ministro della difesa, degli interni e del controllo doganale vengono fatti dal comandante in capo dell’esercito. Un quarto dei seggi del parlamento sono destinati a ufficiali militari nominati da loro.

Anche lo stesso ruolo di Aung Sang Suu Kyi fu ridimensionato nel valore visto che la costituzione vieta di diventare presidente a chi ha parenti stranieri. Suu Kyi ha due figli inglesi e quindi per lei è stato creato il ruolo di Consigliere dei Stato. Dal primo febbraio la gente scende in piazza in Myamar inscenando una disobbedienza civile arginabile solo con una brutale repressione.

riavvolgere il nastro

Una parte di Yangon la città più grande il cuore commerciale del Myanmar si è trasformata in un vero e proprio campo di battaglia con barricate nelle strade. Hanno appiccato il fuoco a copertoni, pezzi di legno, pezzi di bambù mentre le forze di sicurezza sparano contro i manifestanti disarmati. Molti residenti sono fuggiti dal quartiere di Laing Tariar alla periferia di Yangon che è diventato uno degli epicentri della rivolta nazionale contro il colpo di stato. La Giunta sta chiudendo progressivamente tutti i giornali, tutti i media e tutti i siti che non sono allineati con le posizioni dei militari.

Ma i manifestanti hanno promesso che non si fermeranno!

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Di Gianluca Pocceschi

scrittore, ricercatore indipendente e analista geopolitico. Nasce a Grosseto nel 1981. Negli anni accademici esplora l’Europa dalla Faculté des Lettres, Langues et Sciences Humaines di Angers. Si laurea in Relazioni Internazionali all’Università di Perugia e dopo studi sulla dissoluzione dell’ex Jugoslavia vola all’Ambasciata d’Italia a Belgrado.
Nei Balcani inizia a scrivere e dopo collaborazioni con testate online fonda geuropa.it
Frontiere senza nazioni è il suo esordio letterario.