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NATO in Europa

L’Alleanza Atlantica dopo l’annessione russa della Crimea sta testando una nuova arma in Europa: l’avventurismo. Ricordo una frase delle memorie di Kissinger, segretario di Stato americano dell’epoca: “Se l’Unione Sovietica avesse invaso l’Europa occidentale. In 15 giorni sarebbe arrivata a Lisbona.”
Era il 1975.

Voleva essere il più grande dispiegamento di truppe attraverso l’Atlantico dalla fine della Guerra Fredda.

Invece, “Defender 20“, un esercizio disegnato per testare l’abilità dell’America di muovere una divisione di 20.000 o quasi soldati dentro e attraverso l’Europa è stato abbattuto dal COVID-19 e cancellato in marzo. Ma gli interrogativi restano.

I piani di guerra occidentali nel caso di una crisi dipendono dalla capacità degli eserciti di muoversi all’interno delle disastrate strade e ferrovie dell’est Europa.

Dopo l’invasione russa dell’Ucraina del 2014, una ravvivata NATO ha mandato circa 5000 truppe in quattro modesti campi di battaglia attraverso gli Stati baltici e la Polonia testando un nuovo deterrente a Mosca: l’avventurismo.

Tutto fatto per rallentare piuttosto che stoppare una eventuale avanzata russa.

Gli europei, se attaccati, avrebbero bisogno di un massiccio e veloce rinforzo. Così gli Alleati si sono accordati sulle necessità urgenti.

Entro questo anno dovranno essere in grado di predisporre 30 battaglioni, 30 navi da guerra e 30 stormi di caccia pronti a intervenire entro 30 giorni.

Non è sufficiente avere le unità perchè l’elemento essenziale è la mobilità militare: dove c’è bisogno devono “scattare”.

Ben Hodges un generale in pensione che ha comandato l’esercito americano in Europa dal 2014 al 2017 dice che muovere le truppe e gli equipaggiamenti attraverso le frontiere del Vecchio continente era un mal di testa burocratico e logistico da paura.

È ancora così. Come lui stesso ha affermato in un recente report, co – prodotto e pubblicato insieme a due centri di ricerca politico militari: uno in Estonia e l’altro a Washington.

Alcuni ostacoli sono procedurali: il controllo delle frontiere sulla mobilità militare e sugli equipaggiamenti.

Altri sono legati alle infrastrutture: la differenza tra le ferrovie europee e quelle baltiche che richiede, per esempio, di scambiare i treni alla frontiera polacco lituana; poi le autostrade “chiavi” dell’est Europa come quella tra Poznan e Varsavia sono costruite per tenere Il più leggeri carri armati polacchi piuttosto che i pesanti M1 Abrams americani.

Tutti gli osservatori hanno sancito che servirebbero 60 giorni per portare una divisione pesante dagli Stati Uniti alle regioni baltiche e circa 5 o 6 mesi per un corpo d’armata di 45.000 truppe.

Con un tempo simile i russi in caso di invasione sarebbero i padroni dell’Europa. Questo generale in pensione appella come difficile il dialogo con i generali europei.

Il migliori interlocutori per abbattere le barriere burocratiche sono i politici dell’Unione.

Infatti negli ultimi anni la Nato ha lavorato gomito a gomito con le situazioni comunitarie. Nonostante ciò le regole europee per i permessi di movimento dell’esercizio sono molto restrittivi. Bruno Léte dell’osservatorio tedesco German Marshall Fund dice, riguardo al dispiegamento di forze militari: “L’Europa è un brutto posto”.

Ricordo una frase delle memorie di Kissinger, segretario di Stato dell’epoca: “Se l’Unione Sovietica avesse invaso l’Europa occidentale. In 15 giorni sarebbe arrivata a Lisbona.”
Era il 1975.

Foto Stijn Swinnen via unsplash.com

Di Gianluca Pocceschi

scrittore, ricercatore indipendente e analista geopolitico. Nasce a Grosseto nel 1981. Negli anni accademici esplora l’Europa dalla Faculté des Lettres, Langues et Sciences Humaines di Angers. Si laurea in Relazioni Internazionali all’Università di Perugia e dopo studi sulla dissoluzione dell’ex Jugoslavia vola all’Ambasciata d’Italia a Belgrado.
Nei Balcani inizia a scrivere e dopo collaborazioni con testate online fonda geuropa.it
Frontiere senza nazioni è il suo esordio letterario.