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La fine del Sogno Tecnologico Bolscevico. Trent’anni dalla morte dell’Unione Sovietica

“La Russia può essere un Impero o una Democrazia, ma non può essere entrambi.” Brzezinski, ex consigliere alla sicurezza nazionale statunitense, la vedeva così.

Sono passate tre decadi dalla sua caduta e quasi un secolo dalla sua creazione. Il potere dei Soviet è la creatura più divisiva del Novecento e la sua uccisione ha influito in maniera decisiva sull’alba del Nuovo Millennio.

Il 2022 è originario delle prime luci del 1992 quando il Pianeta si svegliò con una mancanza e con una flotta di ideali polverizzati in mille rivoli tra Mosca e Lisbona.

“In questi giorni decisivi, le preoccupazioni e le speranze dell’umanità sono rivolte alla Russia, e gli uomini di intelletto si sforzano di capire quali forze guideranno il paese nel nuovo corso.” Era il 7 luglio del 1917 e il giornalista Paul Vinogradoff iniziava con queste parole il suo articolo sul The Manchester Guardian.

“L’esistenza di un solo mendicante affamato è sufficiente a compromettere l’armonia della natura.” Questo ruolo morale e la massa dei contadini, quasi l’80% della popolazione, erano il collante decisivo dei propositi rivoluzionari secondo Vinogradoff.

L’intelligentsija russache si era formata nei movimenti ottocenteschi dei decabristi, idealisti e riformatori, stava prendendo per mano il risentimento.

Inizio del sogno tecnologico Bolscevico 1917
Nessuna parola su Lenin

Vinogradoff nel suo articolo rifletteva e sembrava descrivere il suo stato d’animo. Da scrittori come Turgenev il cui nemico, la servitù della gleba, lo aveva portato all’esilio intellettuale, era ammaliato. Era poi impressionato, dalle speranze del Partito operaio socialdemocratico russo sulla lotta di classe, per l’emancipazione della Russia oppressa e contro l’Imperialismo. Era pervaso di progresso, dal ruolo delle nuova Russia nella Grande Guerra con il suo sforzo collettivo capace di curare milioni di feriti. Scriveva tutto questo nel luglio del 1917.

Nessuna parola su Lenin e i compagni che dopo pochi mesi presero in mano le “speranze dell’umanità” per citare il giornalista inglese.

La Rivoluzione d’Ottobre sciolse ogni dubbio. Il Bolscevismo vinse. Lenin nella primavera del 1917, poco prima delle parole di Vidogradoff, aveva attraversato tutta l’Europa. Nelle sue Tesi di aprile aveva avvertito il mondo. La Russia farà storia a sé. Il Trattato di Brest – Litovsk pose infatti fine al fronte orientale della Grande Guerra. Basta morire per l’Imperialismo! Le speranze del giornalista inglese di una nuova Russia a immagine e somiglianza dell’Europa pseudo – democratica, colonialista e capitalista decaddero.

La guerra civile vinta dall’Armata Rossa (1917 – 1922) portò il 30 dicembre del 1922 alla nascita del primo paese socialista al mondo: l’Unione Sovietica.

L’URSS è finito

Ma nella stessa maniera di come era nata si è dissolta. Il 25 dicembre del 1991, l’Unione Sovietica cessa di essere un soggetto di diritto internazionale.

La fine era stata già rimarcata dalla telefonata di Shushkevich, presidente della repubblica sovietica di Bielorussia, l’8 dicembre del 1991. All’altro capo dell’apparecchio c’era Gorbaciov, il grande riformatore: ”L’URSS è finito”. Poche parole per dire dalla dacia di Viskuli nella foresta di Belovezh, dove lo stesso Shushkevich e Eltsin, il presidente della repubblica sovietica di Russia avevano ribadito la necessità di concludere l’esperienza nata nel 1922.

Chiamarono a raccolta anche Kravachuk, presidente sovietico ucraino arruolandolo nell’impresa indipendentista. Il 30 dicembre del 1922 la Bielorussia, l’Ucraina, la Russia e il Transcaucaso, tutte repubbliche sovietiche, si unirono e formarono l’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche (URSS). Nel dicembre del 1991 tre di esse, decretarono la dissoluzione. Nacque la Comunità di Stati Indipendenti di cui loro facevano parte ma che non sostituiva l’URSS nei consessi internazionali.

Non poteva che finire con la decisione di separarsi nella storica dacia dove andavano a caccia Breznev e Kusciov, ex leader sovietici.

Le contaminazioni occidentali

L’obiettivo dei riformatori liberali degli anni Novanta era quello di “Spremere l’ultimo sangue sovietico” per dirla con la scrittrice Svetlana Aleksievic nel suo libro “Tempo di seconda mano”.

L’emergenza era economica e come per tutto il mondo comunista coincideva in parte con i debiti contratti al di fuori del socialismo: erano il ticchettio della bomba ad orologeria. “Queste contaminazioni del mondo Occidentale”, come Malcolm in Frontiere senza Nazioni mi ha spiegato, sono state il detonatore. La Aleksievic riassume la situazione con la voce della Russia profonda: “Gorbaciov ha venduto la storia per una pizza.”

Non c’era più l’esigenza di garantire l’Impero. Troppo costoso. Era necessario passare l’inverno al caldo e con la luce per questo Sushkevich e Kravachuk avevano bisogno di Eltsin. Tutta l’energia arrivava dalla Russia. Il presunto golpe dell’agosto 1991 aveva solo accelerato quello che sarebbe successo. Uscire dal dissennato sogno, il prima possibile!

Fine del sogno tecnologico Bolscevico 1991

Passare il freddo dell’inverno russo che aveva ucciso tutti gli invasori e poi la Russia, la Bielorussia e l’Ucraina si impegnavano a demolire tutto ciò che era sovietico sposando il nemico e la democrazia.

Brezinski, ex consigliere alla sicurezza nazionale statunitense, con la frase “La Russia può essere un Impero o una Democrazia, ma non può essere entrambi” sottolineava come la via democratica fosse qualcosa di alternativo all’ingombrante attitudine imperiale.

Un termine, quest’ultimo, che suona male se sei comunista, ma possiamo incanalarlo nel linguaggio della conferenza di Ialta del 1943 parlando di sfere di influenza del pianeta post seconda guerra mondiale, piuttosto che di Imperialismo.

La massiccia crisi economica dei primi anni Novanta comunque depreda tutto quello che trova compresa la gloriosa Armata Rossa, altro pilastro dell’Essere sovietico.

Le Repubbliche si separano, il comunismo si sgretola e l’Armata Rossa?

Henry Kissinger, segretario di Stato americano, affermava nel 1975 che se l’Unione Sovietica avesse varcato la cosiddetta Cortina di Ferro sarebbe arrivata a Lisbona in 15 giorni.

Dopo il crollo del Comunismo e la fine dell’URSS il mito dell’Armata Rossa scompare. Un ufficiale russo nel 1994 disse: “il nostro è il più miserabile esercito del Mondo.”

Gli autisti degli autobus percepivano un salario più alto di un pilota di aerei; la corruzione regnava incontrastata e leggende narravano di gare clandestine, fatte in Germania, tra auto e i gloriosi MIG – 29 , segno tangibile del caos.

Arriva Putin

Il 31 dicembre del 1999, Eltsin abdica a favore di Vladimir Putin. La Russia democratica che aveva rinunciato all’Impero era guidata da una élite di oligarchi che vedevano lo Stato come una forma di arricchimento personale.

Quello che i russi chiedevano al nuovo inquilino del Cremlino, Putin, era di porre fine allo scempio democratico. Rivolevano uno stato forte e rispettato all’estero.

Rivolevano la realtà geopolitica distrutta nella dacia di Viskuli.

Il collasso dell’Unione Sovietica è per Vladimir Putin “il collasso della Russia storica sotto il nome di Unione Sovietica.”

Un po’ di storia: i riformatori liberali a San Pietroburgo, prima metà degli anni novanta: Chubais, Sobchak, Putin.

Ritorna il diritto imperiale sui territori dell’ex URSS

Una specie di Ius prime noctis fa capolino. L’Ucraina e la Bielorussia non sono però più una specie di colonie. La nuova Russia di Putin riesce a tenere testa nella vecchia repubblica sovietica del Transcaucaso.

Il conflitto in Cecenia (1999 – 2009), la guerra lampo in Georgia (agosto 2008) con la sottrazione di Akbazia e Ossezia del Sud e poi l’ultima avventura come “mantenitori della pace” nel Nagorno Karabah (ottobre – novembre 2020) tra armeni e azeri ristabiliscono il cuscinetto sovietico. Ma Kiev e Minsk sono altra cosa. Però un pò riesce a domare.

La Rus di Kiev è stata il seme di resistenza e di emancipazione dell’essere russo. Nessuno può negarlo.

Nel 2014 arriva piazza Maidan la sottrazione di Kiev dalla sfera di Mosca, la Russia di Putin in Ucraina non combatte l’esercito ucraino, ma l’America in Ucraina. L’esercito ucraino è solo una legione straniera della NATO. E’ il soldato americano che sta uccidendo russi nella regione del Donbass.

L’anti – americanismo non è l’unica ragione per la guerra e il principale pilastro del potere statale, ma piuttosto un’ideologia che la Russia sta esportando come una volta esportava il Comunismo.

Il sentimento anti – americano è ed era molto diffuso nel Vecchio Continente e gli anni di crisi economica dopo il crack finanziario di Lehmann Brothers lo hanno saldato con un rabbioso anti – europeismo e anti – capitalismo propinato da numerosi partiti anti – sistema all’interno dell’UE.

L’annessione della Crimea, penisola ceduta alla vecchia repubblica sovietica di Ucraina nel 1954, è stata come rimettere ordine nelle priorità storiche.

IL RITORNO DELLO STATO

Lo Stato russo è tornato nella realtà geopolitica come è avvenuto anche in Bielorussia, la terra del trattato di Brest – Litovsk. Le proteste contro il dittatore Lukashenko non hanno trionfato anche perchè il monumento più famoso di Minsk, la capitale bielorussa, è il palazzo del KGB, i servizi segreti sovietici. Se l’Ucraina è la culla dell’Essere russo, la Bielorussia è la culla dell’Essere sovietico.

Nel novembre del 2021 Vladislav Surkov, l’ideologo cinico e leale di Putin, rivolse la sua attenzione alla questione dell’Impero: “Lo stato russo, con il suo animo interno severo e inflessibile, sopravvisse esclusivamente grazie alla sua instancabile espansione oltre i suoi confini. Ha perso da tempo la conoscenza di come altrimenti sopravvivere.”

L’Unione Sovietica, seppur morta, vive nello Stato, ma è lontana dalle menti legate alla Rivoluzione del 1917 come Vinogradoff .

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Di Gianluca Pocceschi

scrittore, ricercatore indipendente e analista geopolitico. Nasce a Grosseto nel 1981. Negli anni accademici esplora l’Europa dalla Faculté des Lettres, Langues et Sciences Humaines di Angers. Si laurea in Relazioni Internazionali all’Università di Perugia e dopo studi sulla dissoluzione dell’ex Jugoslavia vola all’Ambasciata d’Italia a Belgrado.
Nei Balcani inizia a scrivere e dopo collaborazioni con testate online fonda geuropa.it
Frontiere senza nazioni è il suo esordio letterario.