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Etiopia: affogare nel silenzio della Guerra del Tigray

Racconti da una guerra dimenticata che continua incessantemente a mietere vittime con l’arroganza del silenzio del Pianeta. Un conflitto portato avanti da più attori in una regione ribelle etiope dove vengono commesse molteplici atrocità all’oscuro dei media mondiali.

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Hai mai senti il rumore di una bomba? Io no!

Hai mai sentito le urla di chi sta per morire? Io no!

I superstiti di Axum e Edaga Hamus domandano questo. Sono due città etiopi della provincia del Tigray. Sono sopravvissuti per il momento alla guerra che vede opposti i ribelli del Fronte di Liberazione del Tigray e l’esercito etiope rafforzato da truppe provenienti dalla vicina Eritrea.

Proprio i soldati eritrei sono stati, il 30 novembre scorso, a giustiziare una dozzina di giovani uomini e chiunque si opponesse al saccheggio delle case e all’incendio delle piantagioni. Sono arrivati la mattina con il suono delle mitragliatrici. Tutto questo è accaduto a Edaga Hamus, citta del montagnoso nord dell’Etiopia provincia del Tigray. Un paesaggio e una vita da stomaci forti, ma vissuta con dignità e coraggio.

Ma il più grave attacco è stato perpetrato alla fine di novembre nella città di Axum, una delle città sacre etiopi anch’essa nel Tigray. Secondo Amnesty International, soldati eritrei hanno assassinato centinaia di civili in due giorni come rappresaglia per un attacco contro un loro campo. I soldati hanno preso uomini disarmati e gli hanno uccisi sul posto. Dopo hanno proseguito saccheggiando la città.

“Tutto quello che potevamo vedere dulla strada erano corpi e persone che piangevano.”

Sono racconti dei superstiti perchè il Tigray è chiuso al mondo. Le atrocità vengonovcondotte senza sguardi e occhi capaci di raccontarle.

RITORNO AL MEDIOEVO

Il governo del premio Nobel per la pace Amy Ahmed e primo ministro etiope ha staccato le linee telefoniche e vietato l’ingresso ai giornalisti verso il Tigray. Ha ristretto i movimenti ai lavoratori delle organizzazioni internazionali presenti sul posto. In alcuni luoghi, specialmente nel nord della provincia ribelle, le piantagioni sono state bruciate.

In altre zone i contadini hanno abbandonato i loro campi prima della raccolta. Perfino il cibo, anche se disponibile, molte persone non possono comprarlo. Le banche sono chiuse nel Tigray (tranne che a Mekelle la capitale della provincia). Anche molti mercati e negozi hanno fatto la stessa fine. In molte aree scarseggia la benzina e l’inflazione galoppa.

“Se te hai grano, tu non hai la farina. Se tu hai la farina non hai l’energia.”

Non è uno slogan, ma la realtà di un collasso organizzato. Gli ospedali non hanno rifornimenti. Il personale non viene pagato da ottobre. La mancanza di energia poi ha fatto andare tutto in malora. Quando lo staff di Medici senza Frontiere è arrivato all’ospedale di Adua, una città tristemente famosa anche per gli italiani al confine con il Sudan e l’Eritrea, lo ha trovato completamente saccheggiato. 

nessun accesso

L’accesso alle agenzie delle Nazioni Unite è stato concesso, ma non è stato onorato. Il governo etiope ha paura di essere tacciato di crimini contro l’umanità o esposto all’evidenza di truppe eritree sul terreno.

Quando sono arrivati gli aiuti ha riportato un diplomatico delle Nazioni unite sono stati fermati e requisiti per la consegna, per il motivo che sarebbe stato pericoloso se questi aiuti fossero finiti tra le braccia del Fronte di liberazione del Tigray.

“Il blocco degli aiuti umanitari, l’accesso alla regione è parte della campagna di guerra” sostiene sempre questo diplomatico al The Economist

Per decenni il governo etiope è stato colpevole di aver messo la politica prima dei cittadini. Una carestia nel 1973 è stata coperta per evitare l’imbarazzo al governo dell’imperatore Haile Selassie.

Un decennio più tardi la dittatura miliare ha bruciato i raccolti e bloccato gli aiuti al Tigray nel tentativo di sconfiggere proprio il Fronte di liberazione del Tigray. Al tempo era una disorganizzata banda di guerriglieri.

Oggi il governo conferma “Non c’è fame in Etiopia, l’agenzia federale ha distribuito a gennaio aiuti per due milioni di persone.”

Secondo la Nazioni Unite, un estremo tentativo per nascondere la grave penuria che sta colpendo le donne, gli uomini e i bambini del Tigray.

Per conoscere i motivi del conflitto potete vedere il video Perchè in Etiopia sento odore di Ruanda e Jugoslavia

IL CONFLITTO NEL TIGRAY

Il conflitto in Tigray, una regione dell’Etiopia, è portato avanti dal Fronte di liberazione del Tigray contro lo Stato federale etiope. E’ un movimento indipendentista per staccare la regione dall’Etiopia. Il Tigray è al confine con l’Eritrea ed è una regione altamente militarizzata per via dei decenni di guerra alle porte; L’Etiopia è uno Stato federale su base etnica, 10 regioni con altrettante etnie e il Tigray è il focolaio di un’epidemia di instabilità nel Corno d’Africa dovuta alla messa in discussione di un modello di sviluppo che ha conosciuto una crescita economica esponenziale.

Il Tigray, una delle dieci regioni dell’Etiopia al confine con l’Eritrea

Con l’arrivo al potere di Aby Ahmed nel 2018 l’elite tigrina della capitale ha spostato le fabbriche cinesi nell’odierna instabile regione, un elemento vitale dell’economia e dello sviluppo Tigray. Aby Ahmed non vuole lasciare andare il Tigray anche perchè sarebbe come mettere in discussione la costituzione. Sconfiggere i ribelli del fronte di liberazione è come ristabilire il trattato costituzionale dopo che era stato violato.

I tigrini sono ora oggetto di rappresaglie in tutto il paese e secondo il The Economist centinaia sono stati arrestati e coloro che servono nell’esercito disarmati.

Il conflitto che mette di fronte le forze federali etiopi e il fronte di liberazione del Tigray, una regione che costituisce il 6% dei 110 milioni di abitanti dell’Etiopia, ha molteplici risvolti internazionali anche perchè l’esercito di Addis Abeba ha già fatto intendere che non ci sarà misericordia. Ma bombardare una città come il capoluogo Mekelle mettendo a rischio la vita dei civili è un crimine di guerra.

la somalia

I primis per la Somalia: l’Etiopia ha più o meno 20 mila soldati in questo paese del Corno d’Africa: 5.000 dell’ONU per il mantenimento della pace e 15.000 sono indipendenti. Entrambi assicurano e garantiscono la stabilità nella regione. Diverse truppe sono rientrate per far fronte all’escalation nel paese e quelle di etnia tigrina sono state disarmate. Questo può portare a un situazione di destabilizzazione. Mogadiscio e il governo somalo si reggono sulle forze etiopi per mantenere viva la lotta contro le milizie islamiche di Al Shabaab. La loro defezione potrebbe essere fatale.

i rifugiati

Altro aspetto sono i rifugiati. In Africa orientale dal Sudan alla Tanzania ci sono 4 milioni e mezzo di rifugiati e 8 milioni di sfollati interni. I confini porosi e l’interrelazione tra un paese e l’altro pongono di fatto il Corno d’Africa come un’immensa zona senza frontiere. Potrebbe esserci un’escalation in Tigray e la situazione degli sfollati e dei rifugiati potrebbe affliggere anche altre zone come il Kenia e la Somalia. Notizie certe sono pervenute dal confinante Sudan che ha già accolto un cospicuo numero di profughi e militarizzato la zona di confine con circa 6.000 soldati. I racconti sono drammatici e preoccupanti come riportato dalla CNN soprattutto per la violenza dei combattimenti.

la crisi del federalismo etnico

Il terzo aspetto da tenere in considerazione è il modello di federalismo etnico che in Etiopia sta andando in crisi. Questo modello è presente anche in Somalia e in Kenia. Il prossimo anno ci saranno le elezioni in Somalia e fra due anni in Kenia dove il dibattito è già aperto sull’opportunità di mantenere questo modello di federalismo etnico.

Il conflitto si è già allargato perché i razzi sono caduti anche ad Asmara la capitale dell’Eritrea. Il secessionismo della regione etiope del Tigray non mette solo in crisi la federazione Etiopica perchè le sue rivendicazioni si riversano anche sui territori eritrei dando voce alle dimensioni etniche della contesa.

La guerra del Premio Nobel della Pace potrebbe far assomigliare questo premio a un onore piuttosto che a un onore.

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Di Gianluca Pocceschi

scrittore, ricercatore indipendente e analista geopolitico. Nasce a Grosseto nel 1981. Negli anni accademici esplora l’Europa dalla Faculté des Lettres, Langues et Sciences Humaines di Angers. Si laurea in Relazioni Internazionali all’Università di Perugia e dopo studi sulla dissoluzione dell’ex Jugoslavia vola all’Ambasciata d’Italia a Belgrado.
Nei Balcani inizia a scrivere e dopo collaborazioni con testate online fonda geuropa.it
Frontiere senza nazioni è il suo esordio letterario.